domenica 25 marzo 2012

Caste

L'ufficio in India ha la moquette, sempre pulita. E un paio di punti ristoro. Anche quelli, sempre pulitissimi e sempre provvisti di tazze e bicchieri puliti, caffè e bicchieri di acqua. Una tale pulizia non l'ho mai vista in un qualsiasi spazio pubblico in Italia. Il nitore che regna nell'ufficio, però, non è il risultato di un particolare senso civico dei miei colleghi, ma più che altro il prodotto dell'incessante strofinare e riordinare di un esercito (un esercito! non è un modo di dire) di inservienti. In Italia non ho mai visto più di una-due persone che, a sera, passavano uno straccio umido sulle scrivanie e svuotavano i cestini; qui, sono letteralmente decine, e non smettono mai di pulire dappertutto, senza sosta, dalla mattina alla sera. Certo, molto efficiente, e però...
I miei colleghi indiani son dei giovani non di molto più bassi di me, in forma e qualcuno anche un pochino pingue. Sono gentili e sorridenti, scherzano tra di loro. Il personale di servizio, invece, sembra composto da dodicenni, tanto sono minuti e magri, sia gli uomini che le donne. Le cinture che tengono su le divise stringono un girovita che non conosce un grammo di grasso. Non alzano mai lo sguardo, e in ascensore - ma forse è una mia impressione - si schiacciano in un angolo. Ieri sono andato via dall'ufficio alle dieci di sera, e in ascensore è salito un ragazzino, non avrà avuto più di quattordici o quindici anni, imbiancato dalla testa ai piedi di cemento. Nei sotterranei stavano facendo lavori, e lui era ancora lì a quell'ora, a lavorare.
Era dunque, questo, il mio incontro con le caste dell'India? O era solo la mia immaginazione? 
Ho provato a sondare, con tutta la delicatezza possibile, l'argomento con chi lavora con me. Senza tuttavia ricavarne molto. S. è musulmano - e se anche gli avessi chiesto qualcosa, lui non avrebbe capito la domanda, e io non avrei capito la risposta: io e lui non riusciamo a capire nemmeno quale lingua parla l'altro. Degli altri, K. mi ha detto di essere nato in una famiglia "mista": padre induista, madre sikh. Aveva una casta di riferimento, quella del padre suppongo, ma con la mia estremamente limitata comprensione della faccenda, mi è parso di capire che ai suoi genitori non importasse granché, purché lui sposasse - come ha fatto - una brava ragazza del Punjab, di dove è originaria la famiglia. V. invece mi ha spiegato che apparteneva ad una sottocasta specifica, che storicamente era quella dei pecorai. Insomma non proprio il top. Eppure lui era lì, con una laurea ed un buon lavoro.
Insomma, facendomi guidare da quello che vedo, sull'argomento rimango perplesso e confuso. Tutto, qui, mi sembra avere il marchio della molteplicità e dei diversi aspetti. Come se la società non facesse che riflettere, su scala umana, la teologia induista: tanti dei, ma ognuno solo espressione di qualche aspetto dell'unicità.

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